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Luca D’Ortenzi sale sulla vetta dei massimi
Nella bella piazza dedicata al grande regista Roberto Rossellini la boxe ha trovato la sua location estiva per presentare il titolo italiano dei massimi, lasciato vacante da Ivan Di Berardino. Sul ring sono saliti Luca “Gentleman” D’Ortenzi e Sergio Romano due atleti con belle storie alle spalle. Il primo per certi versi ha avuto sempre il ruolo del predestinato, solo che il destino ci mette quasi sempre lo zampino. Al titolo ci era arrivato nei massimi leggeri, ma nel suo cammino aveva trovato il sardo Salvatore Erittu autore del più bel match della sua lunga carriera. L’occasione si è ripresentata nella categoria superiore alla ricerca del “campione stabile” e la scelta oltre che su di lui era caduta anche su Sergio Romano, pugile di Alvignano che dopo le sconfitte con Tuiach e Di Berardino sembrava intenzionato a smettere, vista la non più verde età. Un’occasione del genere non si può rifiutare e il pugile campano si è fatto seguire e rigenerare da un “mito”, parliamo di Angelo Musone, argento a Los Angeles nel 1984. Il match tra i due, diretto dall’arbitro Moscadelli, non ha certo deluso le attese. D’Ortenzi, seguito da Simone Autorino, aveva dalla sua oltre agli otto anni di differenza, una maggiore velocità e continuità che facevano pendere l’ago della bilancia dalla sua parte. Romano si era imposto un allenamento duro che lo aveva “asciugato” fisicamente, ed era salito sul ring con una tattica ben precisa. Lo si è capito fin dall’inizio quando con ostinazione pressava il romano cercando la corta distanza per poi scaricare i suoi colpi. D’Ortenzi dal canto suo cercava di attuare la sua boxe prevalentemente con il sinistro, una sorta di grimaldello per aprire la strada al destro che non è certo una carezza. L’incontro si è svolto su questi temi per alcune riprese. L’interrogativo era chi in questo “logoramento” fisico e mentale avrebbe ceduto per primo. D’Ortenzi riusciva a dettare legge a sprazzi, mentre il campano aspettava l’occasione buona cercando di sfiancare il suo avversario. Il rebus trovava la sua soluzione a cominciare dalla sesta ripresa quando il romano accelera i tempi e riesce a doppiare i colpi, mentre l’avversario comincia a sentire la fatica di una tattica dispendiosa. Nella settima D’Ortenzi riesce a star lontano dal suo avversario per piazzare i suoi colpi saettanti. Nell’ottava la conclusione con il pugile di Autorino che imprime velocità ai suoi colpi e che l’avversario neutralizza con fatica alle corde dove viene prima colpito da un gancio destro, chirurgico nella sua precisione, e poi da un successivo, che il pugile di Alvignano sente, interviene l’arbitro che fa il segno inconfondibile che il match finisce lì. Una decisione che lascia perplessi, forse un conteggio sarebbe stato più giusto. Bisogna sempre considerare che l’arbitro a distanza ravvicinata vede cose che al pubblico possono sfuggire, ma rimane l’impressione che Romano, per quanto indomabile, stava in riserva mentre il suo avversario cresceva. Il titolo dei massimi torna a un pugile romano dopo 61 anni, Mario De Persio lo conquistò nel 1958 battendo Uber Bacilieri. Qualcuno menzionava Vincenzo Cantatore, ma bisogna tenere conto delle sue origini pugliesi.
Il clou era preceduto da due match seguiti con molto
interesse dal pubblico. Nel primo Alessandro Fersula (+ 5) supera ai punti il
tenace Gilberto Centra (+ 1, – 3). Il sinistro del giovane allievo di Autorino
detta legge, soprattutto quando il destro negli ultimi round ha qualche
problema. Molto più faticosa invece la vittoria di Cristian Malvitano,
beniamino del pubblico locale. Mirko Di Carlantonio disputa contro di lui un
ottimo match mettendolo spesso alla frusta dalla corta e media distanza. Decide
il match lo spicchio finale del VI round quando Malvitano piazza i suoi colpi
che non sono carezze